Riprendiamo i nostri appuntamenti con i produttori, e questo mese andiamo alla scoperta dell’azienda agricola Terre di Pietra, a Marcellise. Il progetto di Terre di Pietra è nato dal sogno di Laura, affiancata dal marito Cristiano, che nel 2007 ha cominciato a produrre vino in un piccolo garage a Torbe, frazione di Negrar di Valpolicella. Nel 2011 la cantina è stata spostata a Marcellise, e nello stesso anno è cominciato il loro percorso nella produzione di vini naturali. Nel 2017 Laura è venuta tragicamente a mancare, e Cristiano ha coraggiosamente preso in mano il suo sogno facendolo proprio. In pochi anni è stato in grado, assieme alle figlie Anna e Alice e a tante persone incontrate lungo il percorso, di creare una realtà unica in Valpolicella, un intreccio di esistenze diverse che tramite la condivisione sono diventate una vera e propria famiglia allargata.
In un caldo lunedì mattina di agosto siamo dunque andati a trovare Cristiano, che ci ha accolto con un rinfrescante bicchiere di kombucha, ovviamente prodotta nel loro laboratorio di fermentazione. Il vino non è stato in questo caso il protagonista, il testo dell’incontro, ma piuttosto il con-testo, o pre-testo, per riflettere insieme su alcuni dei valori di Terre di Pietra, che è evidentemente ormai diventata molto più che una cantina: rifugio, casa, famiglia.
Cristiano, vorrei proporti qualche spunto di quelle che sono state le mie impressioni quando sono venuta qui per la prima volta, che comunque sono state confermate anche nelle visite successive. Ecco, la prima parola che ti propongo è COMUNITA’, che credo sia un valore identitario della vostra realtà.
- Sì, perché non è una cosa che di prassi viene fatta nel mondo del vino, che è generalmente un po’ elitario. Chi fa vino pensa di essere molto in alto normalmente, mentre per noi è diverso perché è stato diverso il percorso di vita: il fatto di dover pensare anche a come ricostruire una famiglia ti fa vedere le cose in un’altra prospettiva. La comunità si è creata e si sta creando perché abbiamo vissuto in passato un momento di chiusura, in cui avevamo bisogno di curare le ferite e di sistemare buona parte delle cose che stavamo affrontando, mentre poi è subentrato un momento in cui volevamo di nuovo avere delle persone vicino. A questo punto sono arrivate proprio le persone giuste, che hanno condiviso con noi una buona parte del percorso, sapendo anche da che situazione partivamo, e non è né scontato né facile. Tutte le persone che sono arrivate e rimaste, o anche arrivate per poi cambiare strada, non sono mai state nostre dipendenti, anche se è chiaro che hanno una busta paga, ma sono entrate in un contesto particolare, e sono state disponibili a fare cose che non sono nella normalità di un rapporto di lavoro. Mi davano una mano in vigna la mattina per poi magari aiutare mia figlia piccola a fare i compiti al pomeriggio. Le mie figlie avevano bisogno di un riferimento femminile e lo hanno trovato anche nelle ragazze che sono qua. E’ per questo che poi si è creata questa comunità, che è anche un po’ una famiglia allargata. Ed è una cosa che viene coltivata anche grazie alle attività che facciamo qua (il corso di uncinetto, gli aperitivi, il pane fatto in casa, etc.), ti tiene vivo il senso di comunità. Ci sono state persone che sono arrivate per fare un corso e poi hanno capito che stavano bene qua e sono rimaste. Anche se viviamo ognuno a casa propria, facciamo tanta vita comunitaria, passiamo tanto tempo insieme. Sono arrivati tutti da situazioni e vissuti diversi, spesso in momenti di difficoltà, e qui hanno trovato un luogo dove guarire sia fisicamente che mentalmente. Quando ti trovi a condividere le difficoltà diventa anche più facile superarle. Ognuno ha avuto il suo percorso e qui ha trovato il suo posto, la sua dimensione.
Ogni venerdì pomeriggio facciamo qui il mercato contadino, e anche questo crea comunità, perché sono persone che condividono la stessa idea di agricoltura, e che hanno trovato qua uno spazio che altrimenti non avrebbero avuto. Tanti di questi produttori sono aziende piccole, che non hanno un punto vendita o magari ce l’hanno, ma lontano dalla città, e questa è un’occasione per loro per essere più facilmente raggiungibili. Quindi anche grazie a questo la nostra comunità si è ampliata, perché chi partecipa al mercato poi torna anche per le altre attività che facciamo qua in cantina.
Infatti mi è stato chiaro da subito il fatto che qui il fattore umano viene prima di tutto, e non è per niente scontato in altre realtà.
- Noi qui lavoriamo seguendo l’etica della permacultura, i cui pilastri sono l’etica per la terra, l’etica per il futuro e l’etica per le persone. Questa è una cosa che coltiviamo molto, avendo instaurato questo meccanismo per cui ogni due o tre settimane ci troviamo tutti insieme per parlare, non solo di lavoro ma anche delle difficoltà che si hanno nella vita, problemi e tante altre cose. Si condivide tutto perché condividere rende tutto un po’ più facile, e crea un legame forte. La permacultura da questo punto di vista ci sta aiutando moltissimo, perché facciamo vini naturali e lavoriamo con una certa etica in agricoltura: sarebbe un po’ un controsenso se poi trattassimo le persone come dipendenti o anche peggio. Si è creato questo rapporto molto particolare anche dal punto di vista economico, perché l’azienda è piccola e i ragazzi che sono qua sanno che io non posso andare oltre a una certa cifra, non ce lo possiamo permettere, quindi tutte le persone che sono qua hanno deciso di rinunciare a qualcosa pur di portare avanti un progetto insieme. Sono cose che non tutti consideriamo, ma quando trovi le persone che condividono i tuoi stessi ideali diventa più facile anche capirsi, ed è per questo che qui le decisioni vengono prese insieme. E’ vero che io rispondo legalmente, però se c’è da fare una cosa non decido io: ci si trova, se ne parla, si discute e così partono i progetti. E i progetti qui sono meravigliosi perché grazie a conoscenze e amicizie riusciamo a recuperare tanti materiali e a dargli nuova vita, tutto quello che vedete qui è fatto con materiali di recupero. Tutto questo contribuisce a creare questo senso di comunità. Ad esempio, il forno non è solo il forno di Terre di Pietra, è il forno a legna che abbiamo costruito insieme. Insomma abbiamo una lista di lavori e progetti che probabilmente non realizzeremo mai, ma è bello anche sognare ogni tanto.
Non è facile trovarle queste situazioni, specialmente in Valpolicella, che è ormai diventata terra da business, il denaro viene prima di tutto e spesso l’aspetto umano viene messo da parte. Ci sono per fortuna delle oasi in cui questo aspetto viene ancora considerato in maniera forte, e se sei fortunato ad entrare in una di queste oasi poi ti rendi conto che stai bene. Noi ogni tanto scherziamo e ci prendiamo anche un po’ in giro per il fatto che probabilmente siamo l’unica cantina che non farà mai soldi in Valpolicella, però a pensarci, alla fine cosa ci manca? Niente: abbiamo l’orto, produciamo quasi tutto quello che ci serve, ospitiamo il mercato del venerdì, respiriamo un bel senso di famiglia allargata per cui ci troviamo spesso anche extra-lavorativamente, insomma stiamo bene.
Penso che poi questo risalti particolarmente in un tipo di società come la nostra, che tende ad isolare le persone piuttosto che aggregarle.
- Certo. Poi sai, quel senso di comunità lì ti aiuta. Adesso è un annetto che per il mondo dei vini non è facile, e ovviamente anche noi ne abbiamo risentito, ma non c’è stato nessuno che ha fatto un passo indietro. Ci siamo riuniti diverse volte a parlarne, e ogni volta qualcuno aveva un’idea o una nuova proposta. Ad esempio quest’anno abbiamo iniziato a proporre gli aperitivi in giardino, sembrava una cosetta da nulla e invece è esplosa una bomba atomica, che ci sta aiutando tanto anche economicamente. E’ stato inoltre un ulteriore modo per legare e rafforzare il rapporto che c’è tra noi. La sensazione che ho io è che qui ognuno ha a cuore il progetto e cerca di trovare una soluzione insieme anche nei momenti di difficoltà.
Un’altra riflessione che ti propongo invece è quella sulla LIBERTA’. Libertà perché voi andate per la vostra strada nonostante tutto. Qualcosa abbiamo forse già anticipato parlando di comunità, ma anche il fatto di essere usciti dalla Denominazione Valpolicella, o di produrre vini naturali ha senza dubbio sollevato molte critiche.
- Assolutamente. Alcune sono critiche che sinceramente sono anche giuste, nel senso che purtroppo capita ancora che c’è chi interpreta il vino naturale come una cosa fatta senza criterio, esce quello che esce. C’è differenza tra fare vino naturale prendendosi cura delle cose e prendendosi del tempo per farlo bene, e farlo invece giustificando ogni difetto dicendo “è naturale”, è una scusa che non regge più. Sappiamo ormai tutti come si fa a fare un vino buono anche se naturale: ci vuole tanto tempo, tanta energia, tanta passione e tanta pulizia. Quindi alcune critiche sono fondate, mentre altre sono critiche sterili. In effetti fare vino naturale è un concetto di libertà, se ti rende libero di aver fatto una scelta in cui tu credi. Poi non è che questa scelta debba essere condivisa da tutti, e non sta scritto da nessuna parte che a tutti debba piacere il vino naturale. Ti rende libero perché non sei più in un meccanismo che porta tutti nella stessa direzione. Quando noi abbiamo cominciato producevamo vino “convenzionale”, seppur cercando di non intervenire in modo troppo pesante dal punto di vista enologico. Nel 2011 c’è stata invece la svolta perché abbiamo cominciato a produrre vini naturali, dando un’impennata al percorso che Laura già aveva intrapreso. I primi anni facevamo Valpolicella DOC, ma poi la Denominazione stessa si è allontanata dal territorio, cambiando disciplinare. Questa è stata dal mio punto di vista una scelta un po’ folle nell’ottica della tutela del territorio, è stata una scelta soprattutto commerciale. Non è poi obbligatorio condividere e sposare queste scelte, infatti io me ne sono allontanato. Considera poi che io nel 2018 venivo da un anno complicato (Laura è mancata nel 2017), ho avuto problemi con la DOC perché il vino era scarico di colore (ma usando le uve autoctone è normale, non danno tanto colore), insomma, mi sembrava di non avere nulla da perdere e ho deciso di uscire dalla Denominazione. Che poi, facciamo esattamente gli stessi vini di prima, ma non possiamo chiamarli Valpolicella. Quindi anche uscire dalla Denominazione in fondo ci ha resi più liberi, possiamo fare vini anche con poco colore, non preoccupandoci delle richieste del mercato: abbiamo una piccola produzione, crediamo in quello che facciamo e non abbiamo paura di andare per la nostra strada.
Immagino però che dal punto di vista commerciale e delle vendite questa scelta non vi abbia agevolati…
- Ma sai che paradossalmente certe cose invece mi hanno aiutato? Perché alle fiere dei vini naturali, sapendo che venivamo dalla Valpolicella in tanti non volevano neanche assaggiare i nostri vini, perché c’era l’idea che i vini della Valpolicella fossero colorati, strutturati, potenti, morbidi, alcolici, etc. E queste caratteristiche vanno bene per una grande fetta di mercato, soprattutto estero, ma non per il mondo dei vini naturali. Chi fa vino naturale è molto informato, e sa che usando le uve Corvina, Corvinone e Rondinella non hai colore, non hai potenza, non hai struttura, non hai corpo, perché sono uve leggere. Quindi non li assaggiavano perché pensavano fosse quella Valpolicella, invece avendo tolto la denominazione siamo riusciti a fare assaggiare i nostri vini senza pregiudizi, facendo scoprire che c’è anche un’altra Valpolicella oltre a quella dei grandi numeri. Quindi questo fatto ci ha permesso di andare meglio su alcuni mercati, mentre qualche cliente ovviamente l’ho perso, ma non si può certo correre dietro a tutti.
Il concetto di libertà poi qui è molto legato alle persone: io ho la fortuna di avere questa comunità, ma è qualcosa che sta in piedi perché ognuno è libero di fare quello che sente. Tutti sanno che possono prendersi del tempo, nessuno mi manda mail per chiedere le ferie, semplicemente mi avvisano che non ci sono perché hanno altri impegni, e in qualche modo ci si organizza. In questo modo hanno tutti l’opportunità di vivere altre esperienze e portare avanti altri progetti. Chi è qua ha rinunciato economicamente a qualcosa (questa scelta l’abbiamo fatta tutti), ma allo stesso tempo sa che se vuole prendersi cinque giorni per andare a fare un’esperienza altrove, può andare a farla senza problemi.
Per finire vorrei proporti una suggestione che ho avuto quando ci siamo visti la prima volta qui da voi, e di cui mi sono sempre più convinta in seguito. Da subito ho infatti percepito che questo luogo ha un’ANIMA FEMMINILE, si è trattato proprio di una sensazione che ho avuto e che mi si è riproposta anche con le visite successive.
- Sono otto le donne che lavorano a Terre di Pietra. C’è stato un momento in cui anche io mi sono chiesto il perché di questa cosa, perché non è che io abbia cercato nello specifico delle donne che lavorassero qui, ma loro sono arrivate. In più io ho due figlie femmine, che già in parte sono coinvolte nel progetto, e un giorno sarà completamente nelle loro mani. Io ci ho riflettuto su questo fatto, e forse è molto banale la questione: Terre di Pietra è nata donna e ci sarà sempre una parte femminile prevaricante in tutte le nostre attività. Laura era una donna energica e molto forte, e qui sono arrivate donne altrettanto energiche e forti. Quindi è come un filo rosso che porta avanti un progetto nato donna e che continua ad esserlo.
Infatti quello che ho provato è stata una sensazione di protezione e accudimento, che mi è sembrato molto materno.
- C’è molto senso materno. Un po’ perché alcune ragazze sono qui già da un po’, hanno conosciuto le mie figlie in un momento in cui erano in grande difficoltà. Quindi l’aspetto materno c’è di sicuro perché hanno visto crescere due ragazzine e le hanno accompagnate. C’è poi da aggiungere che non a tutte loro è andata bene nelle loro esperienze di maternità, e forse qui hanno trovato un modo per colmare questo aspetto che non hanno avuto la fortuna di curare in altro modo. Quindi è una sensazione che in molti ci hanno detto di aver percepito.
A volte d’altra parte è difficile per gli uomini che arrivano, non tutti sono predisposti. Io mi trovo molto bene e non ho mai avuto preclusioni, ho avuto Laura come moglie, quindi non ho mai avuto l’idea che una donna non possa fare quello che fa un uomo e farlo anche meglio di tanti uomini. Perciò per me è normale avere delle donne che lavorano con me, ma quando arrivano altri ragazzi non è sempre semplice ed è capitato che qualcuno se ne sia andato.
Io continuo a pensare che se non ci fosse questa energia femminile questo posto non sarebbe diventato quello che è, e siccome ritengo sia diventato una cosa molto bella, va benissimo così.
Se sei curioso di conoscere meglio Terre di Pietra, realtà unica in Valpolicella, potresti averne l’occasione partecipando a uno dei nostri tour di gruppo “Soave e Amarone”, oppure potremmo organizzarti un tour privato su misura (scrivici a [email protected]!). Sul nostro Shop Online, invece, puoi trovare alcuni dei loro vini più iconici.



